Diritto alla riparazione UE: fino a 10 anni per i device

Addio all’obsolescenza programmata. La Commissione Europea sa lavorando su un diritto alla riparazione per i dispositivi elettronici, che si estende al di là dei 5 anni. Lo scopo è quello di dare priorità alla riparazione e rendere i dispositivi più durevoli.

Diritto alla riparazione UE: cos’è e come funziona?

L’Europa continua il suo piano per provare a ridurre l’impatto ambientale dell’elettronica, soprattutto a livello di materie prime utilizzate per la realizzazione di dispositivi e dell’ingente somma di rifiuti che vengono generati. Proprio per questo motivo, lo scorso 22 marzo, la Commissione Europea ha presentato una nuova proposta di direttiva per fissare delle “regole comuni volte a promuovere la riparazione dei beni”. In questo modo i cittadini europei potranno risparmiare e favorire il riciclo e la riparazione, eliminando “gli ostacoli che dissuadono ancora troppi consumatori a far riparare i propri oggetti elettronici. Tra questi vi è la mancanza di trasparenza, la difficoltà d’accesso ai servizi di riparazione, prezzi troppo elevati, pezzi non cambiabili, ecc. In questo modo i produttori e i chi si occupa di riparare i dispositivi dovranno sottostare a nuovi obblighi.

La misura più importante di questa direttiva è certamente il “diritto alla riparazione”, che aumenta la durata da 5 a 10 anni, a seconda del prodotto. I dispositivi idonei includerebbero smartphone, tablet, TV, lavatrici e altri elettrodomestici. I consumatori potranno quindi farli riparare molto più facilmente e a costi inferiori anche dopo la scadenza del periodo di garanzia. I produttori saranno quindi obbligati a provare a riparare i dispositivi piuttosto che sostituirli con nuovi prodotti. Questa proposta fa parte del progetto globale dell’Unione Europea volto a creare un’economia circolare entro il 2050. Lo scopo è quello di evitare di estrarre risorse (sempre più scarse) per costruire prodotti che diventeranno rifiuti elettronici, ma cercare di trasformare quest’ultimi per creare una nuova generazione di dispositivi. Come dichiarato dal commissario europeo Didier Reynders in un comunicato questa proposa «completa una serie di misure che, nel loro insieme, renderanno il "diritto alla riparazione" una realtà». Il testo deve ancora essere modificato e adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio, quindi questo è solo l'inizio del processo legislativo per la direttiva.

Diritto alla riparazione: da 5 a 10 anni a seconda del modello

In concreto, come spiegato dalla Commissione in un comunicato: “I produttori di beni sottoposti alle esigenze di riparabilità […] saranno obbligati a riparare un prodotto per un periodo di tempo che va dai 5 ai 10 ani dopo l’acquisto (a seconda del tipo di prodotto)</ital> a meno che ciò non sia impossibile</ital> (ad esempio se i prodotti sono danneggiati in modo tale da rendere impossibile la riparazione)”. Questo diritto alla riparazione si aggiunge alla garanzia legale di conformità (di 2 anni), che sarà rivista per l’occasione. Con questa direttiva la garanzia – sempre della durata di due anni dall’acquisto – obbligherà i negozianti a riparare gratuitamente i dispositivi per un periodo di tempo ragionevole (tranne nel caso in cui la riparazione costi più della sostituzione. Superato questo periodo, subentrerebbe il diritto alla riparazione e i produttori sarebbero tenuti a fornire il servizio di riparazione per un periodo ulteriore che va dai tre agli otto anni, ma questa volta a pagamento (sempre che la riparazione sia possibile).

Bruxelles si affida alla concorrenza tra i servizi di riparazione per evitare costi eccessivi e proporre invece prezzi competitivi. L’UE prevede inoltre di creare una piattaforma online in ogni stato membro per permettere ai consumatori di trovare servizi di riparazione e rivenditori di prodotti ricondizionati. Le aziende dovranno mostrare i loro prezzi in modo trasparente, in modo che sia possibile effettuare una comparazione tra le varie proposte. Lo scopo è quello di creare un vero e proprio “ecosistema della riparazione.

Una questione ecologica ed economica

I dispositivi elettronici hanno un impatto non piuttosto significativo sull’ambiente. Rendere la loro progettazione più sostenibile ed evitare il rinnovo precoce e inutile di dispositivi ancora funzionanti è quindi fondamentale. A creare la moltiplicazione di rifiuti elettronici (e quindi l’inquinamento) è la famosa obsolescenza programmata.

La Commissione Europea aveva già trattato questo problema lo scorso settembre, riconoscendo che gli smartphone e i tablet “sono spesso sostituiti prematuramente dai loro utenti e non sono “sufficientemente utilizzati o riciclati”. Si tratta di una situazione che ha un costo in termini di risorse utilizzate e in rifiuti. Come riportato dal Financial Times, la Commissione ha stimato che, aumentare la durata di vita di questi dispositivi da 2-3 anni a 5 anni sarebbe come togliere fino a 5 milioni di auto in circolazione (i trasporti sono una delle cause maggiori di inquinamento). Secondo la Commissione, i prodotti sostituiti ogni anno, anche se riparabili, provocherebbero in tutta l’UE circa 35 milioni di tonnellate di rifiuti.

Ciò senza contare le sfide sul potere d'acquisto della popolazione europea! Infatti, secondo la Commissione, scegliere la sostituzione piuttosto che ripararlo causa a una perdita stimata di quasi 12 miliardi di euro all'anno alle tasche dei privati. L'Unione Europea auspica inoltre che l'obbligatorietà del diritto alla riparazione porti alla creazione di posti di lavoro nel settore della riparazione con professioni non delocalizzabili.

Diritto alla riparazione: elementi riparabili più facilmente

Già lo scorso settembre, tramite un disegno di legge, aveva manifestato la volontà che i produttori e i rivenditori di smartphone mettessero a disposizione dei pezzi e dei servizi di riparazione per far durare più a lungo gli smartphone, semplicemente sostituendo il pezzo difettoso ed evitando di cambiare l’intero dispositivo. Ecco perché dovranno mettere a disposizione alcuni pezzi (come batteria, schermo, microfono, ecc.) e servizi per almeno 5 anni dalla data di ritiro dello smartphone dal mercato.

Per quanto riguarda la batteria, queste dovranno essere rimovibili (come in precedenza), ma dovranno anche mantenere almeno l’83% della loro capacità nominale dopo 500 cicli di carica e l’80% dopo 1000 cicli. Sul suo sito ufficiale, Apple spiega che una batteria “normale” è progettata per conservare fino all’80% della sua capacità iniziale dopo 500 cicli di carica completa – ma propone di cambiarlo a pagamento. Per quanto riguarda <bodl>Android</bold>, il tutto dipende dal produttore. Ad esempio la batteria di alcuni modelli Oppo/OnePlus, (come ad esempio Find X5 Pro, Reno 8 o OnePlus 10T) conserva almeno l’80% della sua capacità dopo 1600 cicli di caricamento (circa 4 anni di utilizzo). Questo provvedimento della Commissione arriva dopo la decisione dell'Unione Europea di imporre la porta USB di tipo C su tutti i dispositivi a partire da 2024 - un vincolo che potrebbe facilmente applicarsi al resto del mondo (i produttori non costruiranno infatti un solo modello appositamente per l'Europa, anche se si tratta di un importante mercato).

Durata degli smartphone: un aggiornamento dei software esteso a 5 anni

L’Europa desidera inoltre aumentare la durata minima anche per gli aggiornamenti software. Spesso, infatti, i produttori non effettuano gli aggiornamenti del sistema operativo o delle patch di sicurezza sui dispositivi. Alcune app diventano quindi incompatibili e le vulnerabilità non vengono corrette. Ciò mette a rischio la sicurezza degli utenti. Questa situazione viene vista come un incentivo a cambiare dispositivo prima della fine del ciclo di vita. La politica degli aggiornamenti dipende ai produttori e dai modelli e, anche se ultimamente sono più frequenti, la Commissione europea li ritiene comunque insufficienti. Per un dispositivo Android ha deciso di aumentare a tre anni la durata degli aggiornamenti OS (Android 13, 14, ecc.) e a cinque delle patch di sicurezza. Tutti dovrebbero essere disponibili entro due/quattro mesi dal loro rilascio.

Si tratta di una politica applicata già in parte da Apple, Samsung (che propone quattro anni di aggiornamenti OS e cinque di patch di sicurezza per i dispositivi Galaxy) e Android, che propone quattro anni di patch di sicurezza per i modelli con il suo sistema operativo. Google, con il lancio di Pixel 6 e Pixel 6 Pro ha aumentato la durata degli aggiornamenti relativi alla sicurezza a 5 anni. Dall’altro lato, per quanto riguarda gli produttori, tutto dipende dal modello del dispositivo.

Diritto alla riparazione: un passo in avanti, ma insufficiente?

Questa leggi continuano comunque ad essere oggetto di discussione. Alcuni paesi, come ad esempio la Germania, vorrebbero aumentare la durata degli aggiornamenti a 7 anni. Si tratta di normative dedicate soprattutto agli smartphone entry level o di fascia media, che non hanno la stessa attenzione che i produttori dedicano ai modelli premium. Tuttavia, alcuni sono scettici riguardo all’applicazione e alle conseguenze di tali misure. Da una parte, ciò rischia di aumentare il prezzo dei dispositivi, poiché bisognerà effettuare degli investimenti (che andranno ad incidere sul prezzo finale dello smartphone o del tablet). Dall’altra parte questo settore sta evolvendo molto rapidamente e alcune funzioni che vengono introdotte con i nuovi sistemi operativi potrebbero rivelarsi incompatibili con i dispositivi meno recenti. Idem dal lato della capacità di calcolo dei vecchi processori, che potrebbero rallentare i dispositivi o addirittura bloccarli.

In più la competitività dei prezzi per la riparazione sulla quale punta Bruxelles porta ad un altro problema, ovvero il costo della riparazione. Solo perché verrà imposto il servizio di riparazione, ciò non vorrà dire che sarà conveniente per l’utente. Come verrà stimato il costo di una riparazione e su in base a quali criteri? I produttori si adatteranno alle nuove regole del “diritto alla riparazione”? Probabilmente sì, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che le nuove norme trovino un’applicazione pratica.

Foto: © Unsplash.

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